Non si ferma la repressione contro gli omosessuali in Indonesia, favorita dal silenzio complice dei governi occidentali e dall’inconcludenza dei movimenti Lgbtq liberali.
Nemmeno gli arresti di massa delle scorse settimane e le frustate in piazza hanno suscitato ondate di protesta in Europa e negli Usa. A Giava Occidentale, l’area più abitata del paese, nasce addirittura un apposito corpo speciale, incaricato di reprimere coloro che violano la legge contro “la pornografia e la pornoazione”. Una task force armata ed attrezzata per vigilare sul rispetto della morale, quasi sul modello degli squadroni punitivi operanti nei paesi salafiti del Golfo Persico. Ad annunciarlo è stato lo stesso capo della polizia Anton Charliyan: “Spero che nessuno voglia seguire lo stile di vita omosessuale a Giava, ma se qualcuno lo farà, dovrà fare i conti con la legge e pesanti sanzioni. Non troveranno alcuna tolleranza da parte della società”. Secondo l’ufficiale, i gay sarebbero persone “malate nel corpo e nello spirito”.
In Indonesia essere omosessuali non è formalmente un reato. Però la suddetta legge anti-pornografia, introdotta nel 2008, colpisce uno spettro ampissimo di “reati”. Anche scambiarsi foto senza veli, guardare un film erotico o assistere ad uno spogliarello gay è sufficiente per incappare nelle maglie della repressione.
E le pene possono anche superare i 10 anni di carcere. E’ quanto rischiano alcuni dei 141 partecipanti alla festa in una sauna di Giacarta e dei 14 uomini arrestati in un albergo a Surabaya. Una sorte diversa è capitata a due giovani nella regione di Aceh, dove vige ufficialmente la Sharia. Dopo essere stati sorpresi da un gruppo di vigilantes a fare sesso nel loro appartamento, sono stati condannati da una corte islamica a 83 scudisciate. La sentenza è stata eseguita in piazza da un boia mascherato, davanti ad un pubblico numeroso ed in presenza dei media, che hanno fotografato e ripreso le scene di dolore dei due malcapitati.
In Indonesia le cose non vanno meglio per le altre minoranze. Aumentano gli attacchi anche verso i cristiani, finora ampiamente tollerati e con incarichi di responsabilità nelle strutture dello stato. Questo mese il popolare governatore di Giacarta Basuki Tjahaja Purnama, di etnia cinese e tra i membri più influenti di quella comunità, è stato condannato a due anni di carcere per blasfemia. L’accusa è di aver oltraggiato il Corano in campagna elettorale. Ma il politico in manette sostiene di aver semplicemente citato un versetto del libro sacro, al fine di smentire il presunto divieto per i musulmani di eleggere un rappresentante di un’altra religione. A celebrare la condanna del governatore c’era una nutrita folla di integralisti, che ha urlato “Allah è grande” ed applaudito la corte.