Cresciuto fra Beirut, Parigi e Londra, a otto anni, mentre i suoi coetanei si dedicavano ai compiti e ai giochi al parco, Mika trovava rifugio nella musica. Espulso da scuola a causa della dislessia, non parlava per mesi e non sapeva né leggere né scrivere.
La musica divenne il suo mondo, un luogo dove poteva esprimersi liberamente e trovare un senso. In un’intervista al «Corriere», Mika ricorda come la musica gli abbia salvato la vita, permettendogli di mantenere viva la sua immaginazione.
Con questo bagaglio di esperienze, il libanese naturalizzato britannico si appresta a condurre il 7 di maggio la serata dei David di Donatello, affiancato da Elena Sofia Ricci. Promette uno spettacolo poetico e curato, celebrando non solo le star, ma anche gli artigiani che rendono possibile la magia del cinema.
Per Mika, l’artigianato rappresenta una forma di resistenza e una cura per gli aspetti più superficiali della vita. Il 41enne non si considera un divo, ma riconosce la trasformazione che avviene quando sale sul palco. La sua vita quotidiana è normale, ma sul palcoscenico si sente come in un rito spirituale. Il contrasto tra la sua vita pubblica e privata è netto, e spesso si chiede se sarà in grado di creare qualcosa di nuovo.
Il legame di Mika con l’Italia è profondo, alimentato dal cinema e dalla musica. Ha imparato l’italiano per comprendere meglio artisti come Tenco e De André, ma il cinema italiano ha sempre avuto un dialogo universale per lui.
Cresciuto tra diverse culture, Mika ha assorbito influenze da tutto il mondo, portando con sé una ricchezza di esperienze che si riflettono nella sua arte.
Il redattore ha scritto questo articolo con l’aiuto dell’AI.