Una coppia di ragazzi gay di Napoli, dopo aver prenotato un alloggio in una località turistica in provincia di Vibo Valentia, ha deciso di cancellare la prenotazione quando, il proprietario della casa vacanze, si è vista rispondere che “gay e animali non erano graditi”.
Il fatto denunciato anche dall’Arcigay di Napoli ha posto l’attenzione su un caso evidente di discriminazione. Ma è legale che un hotel si rifiuti di ospitare una persona a causa del suo orientamento sessuale?
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Per rispondere a questo quesito viene in soccorso, in primis, l’articolo 3 della Costituzione che al primo comma recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Esistono inoltre due decreti legislativi, il 215 e il 216 del 2003, nati come recepimento della normativa europea che distingue tre tipi di discriminazione: c’è la discriminazione diretta che si ha nel momento in cui una persona viene trattata in maniera diversa, solitamente peggiore, unicamente perché omosessuale o transgender.
C’è poi la discriminazione indiretta, che si verifica quando una clausola, una legge, un regolamento o altra norma che sembra essere neutra, in realtà pone in una situazione di particolare svantaggio le persone, unicamente in base al loro orientamento sessuale o identità di genere.
C’è infine la discriminazione come molestia, cioè quei comportamenti non desiderati messi in atto con lo scopo o l’effetto di creare un clima intimidatorio o lesivo del rispetto.
Questi strumenti regolano l’accesso al lavoro, all’assistenza sanitaria, alle prestazioni sociali, all’istruzione, ai beni e servizi e dunque anche all’alloggio. Ciò significa che un albergatore o chiunque offra servizi di accoglienza turistica non può in alcun modo selezionare la propria clientela in base all’orientamento sessuale della stessa.
Chi è vittima di una discriminazione in base a questi fattori può rivolgersi a un giudice e chiederne la rimozione oltre al risarcimento del danno. Secondo quanto stabilito dai decreti, nel caso in cui sussistano dati statistici o elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, il ricorrente potrà portarli in giudizio, anche senza ulteriori prove e il giudice li dovrà valutare. Dall’altro lato si prevede che il giudice possa ordinare il risarcimento del danno anche non materiale.
“È riconosciuta la possibilità che a muovere causa non sia la persona che ha subito la discriminazione ma, in sua vece e per suo conto, le rappresentanze locali delle organizzazioni nazionali maggiormente rappresentative che possono diventare esse stesse soggetti attivi nei casi di discriminazioni collettive”, si legge.
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