Alessandro ha 57 anni e da un anno e mezzo è separato dalla moglie, conosciuta vent’anni fa in un circolo Arcigay. La sua è una storia di amore, transizione, e di quelle fragilità invisibili che attraversano chi ama profondamente, ma si trova a fare i conti con ciò che va oltre l’amore: i corpi, la società, i silenzi, i propri limiti.
“Mi ero appena lasciato con una donna più grande di me, che aveva una figlia. Un giorno scoprii che un amico si travestiva da donna. Lui era molto imbarazzato, ma io lo tranquillizzai: per me non era un problema. Una sera l’ho accompagnato al circolo gay che frequentava, e lì ho visto per la prima volta la persona che sarebbe diventata mia moglie.” Alessandro parla di Stefania – nome di fantasia – con rispetto e tenerezza. Quando la conobbe, lei aveva appena iniziato il percorso di transizione di genere.
“Aveva ancora gli organi genitali maschili, ma grazie agli ormoni cominciava ad avere un piccolo seno. Il viso non era del tutto femminile. Eppure mi attrasse da subito. Era una situazione nuova per me, ma non mi spaventava.” Alessandro cominciò a frequentare spesso quel locale, finché una sera prese il coraggio di chiederle il numero. Uscirono. Passeggiarono a lungo. Si baciarono, senza andare oltre.
Lei dormì da lui, vestita. “Non era imbarazzo – spiega –. Era disforia.” “La disforia di genere non è una perversione, non ha nulla a che vedere con l’orientamento sessuale. È il non riconoscersi nel proprio corpo. Alcuni riescono ad avere una vita sessuale, altri no. Mia moglie non ci riusciva. Aveva un corpo che non le apparteneva.”
Da quel giorno, Stefania non se ne andò più. La loro convivenza cominciò così, in punta di piedi. Ma ben presto il loro amore dovette fare i conti con i pregiudizi: “La nostra storia divenne di dominio pubblico, cominciarono le discriminazioni. Per questo decidemmo di trasferirci”.
Il loro era un amore “bianco”, come lo definisce Alessandro: senza rapporti sessuali completi, ma carico di affetto, intimità, rispetto. “Io stavo bene così – racconta –. Per me lei era tutto. Ero felice di accompagnarla nel suo percorso.”
La transizione fu lunga. Alessandro fu sempre presente: “Andavo con lei dallo psicologo, alle sedute ormonali, all’intervento al seno. Era come crescere insieme.“ Poi arrivò l’operazione definitiva. “Il suo psicologo ci diceva sempre che l’intervento non è la fine, ma l’inizio. Aveva ragione. Dopo l’operazione, che fu complicata e dolorosa, iniziò un altro tipo di percorso, anche per me.”
Alessandro confessa che quel passaggio fu devastante anche per lui: “Vedevo i suoi genitali come un artefatto. Era come se la mia libido si fosse spenta.” Dopo dieci anni di convivenza si sposarono. Stefania cominciava finalmente a sentirsi a proprio agio nel suo corpo. Alessandro, però, restava bloccato. Il matrimonio rimase bianco. “Non abbiamo mai avuto rapporti completi. Amavo mia moglie, mi piaceva, ma non riuscivo a superare quell’aspetto. Lei lo rispettava, inizialmente. Ma poi, quando si è sentita pronta, mi ha proposto la terapia di coppia. Io ho rifiutato.”
A ripensarci, Alessandro dice che quello fu l’errore più grande. “Lei voleva viversi anche la sua sessualità. E io non ho capito quanto fosse importante per lei. L’ho amata, l’ho rispettata, ma lì ho guardato solo a me stesso.” Stefania, intanto, si era laureata, aveva trovato lavoro, aveva costruito la sicurezza che cercava. E infine, ha trovato un altro uomo. La separazione è arrivata. “È stato un grande dolore, ma non rimpiango nulla. Io sono stato la sua casa per tanti anni. Non abbiamo avuto sesso, ma abbiamo avuto amore. E anche questo conta.”
Oggi Alessandro racconta la sua storia per fare chiarezza su temi spesso raccontati male o con superficialità. “La transizione non è un gioco. Non lo è per chi la affronta. Ma nemmeno per chi sta loro accanto. È un viaggio complesso, fatto di dolore, cambiamenti, silenzi, amore. E ci vuole tanto coraggio per non lasciarsi indietro.”.
L’intervista è stata realizzata da Roberta Marchetti perToday.it.